Descrizione
“Chi è felice vive/Rincorre i colori con il fiato del cielo/ parla parole piene e rotonde./Chi è felice non ha ricordi/chi è felice non ha passato”.Il presente è solo ciò che importa, tutto il resto rischia sempre di portare infelicità, perché ogni momento della vita presenta anche aspetti contrastanti che quando diventano ricordo, conducono dissapore e infelicità.La tecnica della poesia di Monica Buffagni si avvale molto spesso di ossimori, per lo più linguistici, ma a volte anche concettuali.In “Io che sono neve” abbiamo il “terra bruciata di neve”, ove bruciatoe neve sono agli antipodi. Lo stesso titolo della raccolta è un ossimorologico più che linguistico. Anche l’anafora è spesso presente come necessità di rimarcare qualche oggetto, qualche aspetto della realtà.Nelle poesie dove ricorre la luna questo dato è dominante. La poesia di Monica Buffagni va letta per la sua schiettezza nel manifestare l’inappartenenza a una realtà scontata, realtà che è resa positiva attraverso uno scavo interiore che non si accontenta di quello che appare.
Rosa Elisa Giangoia –
Fin dal titolo questa silloge poetica di Monica Buffagni (Piume di ghiaccio) rivela un sentire e un’espressione poetica, filtrata attraverso le figure, di tipo ossimorico, di forte valenza significativa per la possibilità di oltrepassare il piano linguistico per attingere a quello concettuale. Piume di ghiaccio si articola in due sostantivi “piume” e “ghiaccio” che appartengono a due campi semantici completamente diversi, se non contrastanti, capaci di prospettare al lettore immagini e sensazioni antitetiche. “Piume” riporta, infatti, a sensazioni di morbidezza, di calore e di leggerezza, mentre “ghiaccio” induce a pensare e immaginare qualcosa di duro, di freddo e di pesante: alle piume accostiamo volentieri e facilmente le mani, dal ghiaccio le ritraiamo in tutta fretta. La preposizione “di”, che collega i due sostantivi, stabilisce un rapporto di materia, per cui avviene, nell’immaginazione del lettore, una transazione in capovolgimento dal positivo al negativo, dal gradevole allo sgradevole.
Da questa breve analisi del titolo si coglie il filone rilevante, l’elemento caratterizzante, il motivo dominante di tutta la silloge che ha, proprio nella contrapposizione ossimorica tra positivo e negativo, tra gradevole e sgradevole, il suo asse portante.
Questa, che potremmo definire la dinamica del capovolgimento delle sensazioni banalmente immediate, diventa la cifra che percorre e innerva tutta la silloge poetica di Monica Buffagni, tramite un’articolazione espressiva di grande fantasia immaginativa e creativa nel susseguirsi di figure che determinano un forte ed attraente coinvolgimento emotivo con il lettore.
La raccolta si articola in tre sezioni: Sfumature, In due e Caleidoscopio che dimostrano un progressivo ampliarsi degli orizzonti di ispirazione e di riflessione dell’autrice e nello stesso tempo un ammorbidirsi progressivo della sensazione di negatività e ostilità nei confronti del mondo e degli altri.
Infatti in Sfumature prevalgono metafore che riportano ad una sfera semantica di asprezza e di durezza, fin dal verso d’inizio della lirica d’apertura del testo (Dicembre notturno) «Fragoroso silenzio» che vive in una contrapposizione assoluta. Nella seconda sezione In due centrale sembra essere la dimensione relazionale, vissuta nel contrasto e nella difficoltà comunicativa. La tensione comunicativa si realizza in un intarsio di ricercate stringhe espressive in cui l’opposizione ossimorica si intreccia con l’allitterazione di solito di grande efficacia, come in «Soffici serpenti sognanti / strisce di sole…» (Di guerra e d’amore) o come «Verde vibrante / […] / vivace ventoso volante / verde vuoto, vento» (L’odore del vento). L’attenuarsi dell’intensità della durezza nelle metafore si realizza nella terza sezione Caleidoscopio tanto da far apparire più sereni e soddisfacenti rapporti relazionali con il mondo e di tipo interpersonale. Come si può facilmente vedere dalla breve lirica Sbuffi di sonno «Placida procede la spuma / coppa di neve bollente / trafitto di arancio e di blu», in cui l’ossimoro “neve bollente” stempera il suo contrasto nelle altre più dolci e rasserenanti immagini.
La silloge poetica ha in questo modo una sua coerenza di sentire in una gradazione espressiva in cui la forma e il contenuto si vengono a trovare in un equilibrio di piena adeguatezza.
Karim Metref –
Le poesie della raccolta Piume di Ghiaccio di Monica Buffagni vanno lette lentamente, ognuna almeno due volte, spesso 3. Una volta per assumere un’idea generale, poi una seconda volta ad alta voce, per cercare di coglierne il ritmo e il significato profondo. Personalmente, credo che la poesia parli solo se declamata. E, quindi, provare a sentire la sua resa ad alta voce, cercando di rispettare il tono adatto, la velocità, le pause brevi o lunghe, l’effetto finale…
Molte le ho sentite veramente bene, mi hanno parlato fin da subito.
A volte mi sono chiesto se per parlare dell’alba o della neve o della pioggia, si abbia bisogno di osservare, di vedere dal vivo quelle cose, di viverle mentre si recitano queste parole nella mente, prima di imprigionarle sulla carta.
Mi ha colpito particolarmente questo componimento:
“Chi è felice non aspetta. / Chi è felice vive.
Rincorre i colori con il fiato nel cielo, /parla parole piene e rotonde.
Chi è felice non ha ricordi. / Chi è felice non ha passato.”
Mi sono chiesto: esiste veramente la felicità? La gioia è conoscibile, così come il piacere, l’euforia di un momento più o meno breve, più o meno lungo. Ma la felicità che cos’è? Siamo mai stati felici? Chi è felice sa di esserlo? O sono quelli intorno a lui che se ne accorgono? Forse per lui o lei quella è la vita e basta, la vita vera. Tutto il resto è attesa.
Come Le Madelaine di Proust, questa raccolta mi ha riportato alla mia infanzia, quando mi chiedevo chi fossero quelli felici. Se io ne facessi parte o meno.
In fondo, questa è la funzione della poesia, che mi è stata suggerita dalla lettura della silloge. Quella di far viaggiare nello spazio e nel tempo, ma soprattutto dentro noi stessi.
Di Karim Metref
Claudia Vellani –
RECENSIONE A “PIUME DI GHIACCIO” DI MONICA BUFFAGNI
Nell’ottobre 2019 esce la raccolta di poesie Piume di ghiaccio, di Monica Buffagni, insegnante e poetessa modenese, per le edizioni Kanaga, una casa editrice di recente nascita che con le sue pubblicazioni fa propria la finalità più alta della letteratura: aprire orizzonti nuovi e offrire testi che arricchiscono gli esseri umani nella loro ricerca di umanità. E certamente la poesia, linguaggio carico di significati al maggior grado possibile, assume questo compito più di ogni altra forma espressiva. Come scrive Ungaretti, “poesia/ è il mondo l’umanità/ la propria vita/ fioriti dalla parola/ la limpida meraviglia/ di un delirante fermento”. (Commiato)
E Monica Buffagni nei suoi versi ci fa sperimentare questa forza della parola poetica che fa fiorire non solo ciò che vive nel suo cuore, ma tutta la realtà, guardata con un occhio diverso, cogliendone la bellezza struggente e le laceranti contraddizioni. Sembra che veda il mondo per la prima volta, “trovando nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima” (Pascoli, Il fanciullino), con un senso di sorpresa e stupore per quello che ristora l’animo, ma anche con trasalimenti dolorosi per ciò che lo affligge: i “sogni di un mondo trascorso e finito”, “gli orchi indimenticati del passato e i pagliacci dipinti di blu del presente”. Il poeta fanciullo ci insegna che “il nuovo non si inventa: si scopre; impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare e senza farci scendere ad uno ad uno i gradini del pensiero ci trasporta nell’abisso della verità.”
Nulla è scontato nella poesia di Monica Buffagni e le metafore che creano inedite “somiglianze e le relazioni più ingegnose” (ancora Pascoli!) tra aspetti diversi del reale ci conducono non tanto a ragionamenti logici, ma a intuizioni dell’animo, a sensazioni, presentimenti, espressioni di sentimenti concentrati in un unico momento rivelatore. Poesia lirica, dunque, in cui la fitta rete di corrispondenza tra le parole e le cose avviene attraverso i suoni. Allitterazioni, anafore, sinestesie e ossimori (lo stesso titolo è quanto meno “un ossimoro logico più che linguistico” (R. Taddeo), immagini talvolta volutamente oscure, ma sempre capaci di trasmettere una suggestione, un sottile disagio, un pungente rimpianto o una flebile speranza. Le contraddizioni del nostro vivere e quelle più intime dell’animo si svelano nei suoi versi: albe, sorrisi, laghi di luna, raggi di vita, (Sera d’ottobre) silenzi che ridono, lievi lanterne, stelle lontane, cieli di marzo e aratri di sogni (Tracce) si contrappongono e si confondono con immagini aspre di punti inchiodati, di aghi e di spilli, angoli di ferro (Alba), spigoli imprevisti, acuti, solitari e urticanti, lame taglienti e feroci, mari di sassi, lingue di ghiaccio, sentieri ritorti, spago sferzato… talvolta inestricabilmente legati, simboli della bellezza e del dolore dell’esistenza, come appaiono nella lirica Mi nascondo (Mi nascondo/ dentro gli angoli celesti/ del mattino che nasce./ Ho sbagliato).
Le poesie di Monica Buffagni ci offrono, quindi, non solo l’esempio di un linguaggio potenziato, che sfugge al logorio della quotidianità e alla brevità impoverita degli sms, ma anche di un serio lavoro di scavo dentro la propria interiorità: per tutti noi parlare o scrivere parole può diventare uno strumento ideale, soprattutto in questo tempo di angoscia e di attesa che stiamo vivendo, per sciogliere nodi emotivi, preoccupazioni, paure, frustrazioni che si conficcano nel nostro corpo innescando a volte dolorose risposte psicosomatiche.
Monica Buffagni, proprio per questo, non tiene per sé il dono del saper usare le parole per esprimere pensieri, sentimenti, desideri e angosce, ma insegna anche ad altri a farlo attraverso laboratori di poesia, di scrittura creativa e teatro, che prima di tutto rivolge ai suoi alunni, insieme ai quali ha ottenuto riconoscimenti e premi, anche a livello internazionale.
Di Claudia Vellani
Luigia Pantalea Rovito –
L’autrice della raccolta di poesie Piume di ghiaccio, Monica Buffagni, è scrittrice e autrice di numerose recensioni e commenti su volumi, produzioni, scritti letterari e poetici e non solo su varie testate online e sta vedendo, per le proprie opere, un interesse crescente, anche a livello internazionale, tanto che suoi versi sono stati tradotti in altre lingue e diffusi in altri paesi. In questo volume troviamo anche il tema della parola poetica e anche il tema della lingua come strumento di dialogo e di confronto con l’altro da sé.
Le poesie di Monica sono pienamente coerenti con quello che è il senso della poesia lirica che, nella sua essenzialità, è l’espressione di un sentimento concentrato in un unico momento. La lirica non è narrazione, né descrizione, e nemmeno considerazioni più o meno logiche. La lirica è intuizione.
Leggendo le poesie, emerge come i contenuti non siano tanto da comprendere didascalicamente, quanto, invece, sensazioni da cogliere, da cui lasciarsi prendere e in cui riconoscersi.
Possiamo dire che la poesia è cercare dentro se stessi per incontrare l’altro, è un colloquio in cui un io e un tu interagiscono e cercano unità nel loro essere. Tale ricerca è uno dei temi portanti di questa raccolta.
Decisamente interessanti risultano i frequenti ossimori; li troviamo particolarmente riusciti in “Dicembre notturno”, “Fine estate” e “Io che sono neve”. Suggestive e significative sono le allitterazioni, specialmente in “L’odore del vento”, che restituisce nella ripetizione verbale un’idea di intensa libertà, e le sinestesie.
Questi componimenti sottolineano suoni, colori e potenza delle parole, come chiave comunicativa del linguaggio poetico, come viene ricordato nel verso “arrotolo i colori delle parole” di “Frammenti d’acqua”.
Di Luigia Pantalea Rovito